La movida a Borgo San Lorenzo ha sempre fatto discutere, ma probabilmente mai come in questo momento storico, in cui all’ormai consueta confusione si aggiunge la paura per una nuova recrudescenza del Coronavirus.
Partiamo da un dato di fatto: il rischio che l’epidemia riprenda forza e torni a diffondersi è ancora reale e non deve assolutamente essere sottovalutato. Che il distanziamento debba essere rispettato, e che soprattutto quando questo non sia possibile occorra indossare accuratamente la mascherina, non è assolutamente da mettere in discussione.
Tuttavia gli ultimi decreti hanno permesso la riapertura dei locali e il consumo di cibo e bevande sul posto, e ciò ha comportato automaticamente la ripresa della movida, più o meno nella stessa forma in cui si teneva prima del lockdown: anche questo è un dato di fatto ed è su di esso che bisogna riflettere.
La famosa movida risponde al bisogno dei giovani di svagarsi e di socializzare. Negare che questo bisogno esista è a parer mio inutile e controproducente, se non altro perché si tratta di un bisogno che produce lavoro; ma vi è anche il fatto che, se ai giovani verrà vietato di appagare questo bisogno nel centro del paese, loro troveranno il modo di farlo con feste private in casa e in campagna, lontani da qualsiasi forma di controllo; e dal punto di vista della diffusione del virus, questo è senz’altro assai più rischioso. Ma al bisogno dei giovani di socialità e di vita fanno da contrappeso da una parte la necessità del distanziamento sociale, dall’altra il bisogno dei residenti di tranquillità e riposo.
Limitarsi a sopprimere la movida e a ignorare la voglia dei giovani di riprendere a vivere e a svagarsi vorrebbe dire semplicemente ignorare qualcosa che esiste ed esisterà sempre, come nasconderla sotto il tappeto: quello che invece è auspicabile è cercare un equilibrio che non trasformi il centro storico in un dormitorio ma neppure in una discoteca, che lo renda vivibile sia da parte dei giovani sia dei residenti. Questo può venire soltanto da una volontà condivisa, da parte dei gestori e dell’amministrazione comunale, di adibire spazi adeguati e di sperimentare soluzioni che possano coniugare le varie esigenze; con la consapevolezza, purtroppo, che probabilmente ci sarà sempre qualcuno che rimarrà insoddisfatto.
Ma in quanto al Coronavirus, se anche qui è auspicabile che vi sia una coesione tra l’amministrazione comunale, le Forze dell’Ordine e i gestori, è indubbio che sono i clienti per primi a non rispettare le norme di sicurezza, accalcandosi senza mascherine (e talora tenendo in mano lo stesso bicchiere, per fingere di star sorseggiando un cocktail, anche per ore) e non rispettando alcuna regola. Quanto a questo non ci si può che augurare che la sensibilità su questo tema aumenti, senza che ci sia bisogno di venir richiamati continuamente all’ordine; ma poiché questo è purtroppo fin troppo utopico, spetterà comunque ai gestori far rispettare le regole e il distanziamento. Ma la mia impressione è che si stia usando la scusa del Coronavirus per puntare il dito contro un evento che già prima faceva discutere, quello appunto della movida, che veniva accusato e criticato già ai tempi della Magnolia, del Teen Club e, solo l’anno scorso, della festa a Villa Pecori. Il Coronavirus dev’essere gestito come un problema a sé stante, ma non ha nulla a che vedere con la vita notturna dei giovani, che fa discutere da anni e che continuerà a esistere – e dovrà essere affrontata, non soppressa né ignorata – anche dopo che l’epidemia sarà finita.
Margherita Di Pisa
Chi dice che i giovani “vogliono ricominciare a vivere” forse ignora che i giovani non hanno mai smesso di vivere.
Però va visto come vorrebbero vivere. Questo non è un periodo normale, non si può pretendere di fare una vita normale, come se niente fosse successo.
I giovani (lo siamo stati tutti, dovremo ricordarcelo) si son sempre sentiti invincibili, forti, inattaccabili, quasi “immortali”. Giovani, appunto. E stare alle regole, per i giovani è sempre stato difficile. Questo non è un periodo normale, in cui si potrebbe anche chiudere un occhio se le regole non vengono rispettate.
Le regole che ci viene chiesto di rispettare non sono “contro i giovani”, non sono “contro la movida”(termine orrendo, tra l’altro…). Non sono contro i commercianti e i ristoratori, anche se sicuramente a loro creano danno.
Le regole che ci è stato chiesto di seguire sono per salvare vite umane. Sono per evitare che la gente finisca in rianimazione e abbia danni per anni.
Vero, i giovani si sentono forti e invincibili. Ma vanno responsabilizzati perché se si ammala uno di loro porta il male in casa, dove ci sono genitori (già meno giovani) e nonni (ancora meno giovani).
Non si tratta di rinunciare a vivere. Si tratta di rinunciare a qualcosa, come la birra in piazza, per senso di responsabilità. Se non si riesce a sopravvivere a un paio di mesi senza una movida, sarà difficile affrontare una qualsiasi altra difficoltà.
P.s.
Per quanto riguarda il bisogno di socializzare, mi viene da ridere.
La stragrande maggioranza di quelli che fanno la movida la fanno col telefonino in mano, stando più attento a postare le foto per farle vedere a tutto il mondo che a ragionare con chi ha davanti.
A volte si vedono tavoli interi di persone sole, tutti in gruppo ma ognuno con la testa piegata davanti al monitor, a whatsappare, tiktokkare, feisbuccare e chi più ne ha ne metta.